Premessa
La comunità Ikebiri è composta da diversi villaggi situati sul delta del Niger, nello stato nigeriano di Bayelsa. Le principali attività economiche comprendono la produzione dell’olio di palma, la costruzione di canoe, la pesca, l’agricoltura e altre attività tradizionali.
ENI opera in Nigeria attraverso una società da essa interamente posseduta e controllata, la NAOC – Nigerian Agip Oil Company Limited – che ha iniziato le sue operazioni nel territorio della comunità di Ikebiri nel 1969, su cui dispone di diversi pozzi operativi e tubature che garantiscono varie linee di flusso.
L’iter che ha portato la comunità di Ikebiri a decidere di agire in giudizio in Italia parte da lontano 1999 allorché alcuni membri della comunità, esasperati dal rifiuto di NAOC di risarcire i gravi e diffusi danni derivanti dagli sversamenti verificatisi negli anni 1972, 1980, 1990, 1992, 1994 e 1999, decisero di protestare occupando le aree di alcuni pozzi di proprietà NAOC.
19/4/1999
Secondo la ricostruzione di alcune ONG, “soldiers escorting Agip personnel reportedly killed eight people, including a two year-old child, from Ikebiri community” (A-1).
Per Amnesty International, le forze di sicurezza spararono contro due imbarcazioni che si stavano avvicinando, con a bordo alcuni giovani e due leader della comunità, uccidendo Zamiama Ayakoroma, Womiebi Ayamei, Nimi Belibotie, Owuleyefa Ebimo, Layefa Igoli, Williams Onitsha and Wisdom Oyatei (A-3).
I due leader, Chief Samuel Fiobole e Chief Okon T. Esule, furono sequestrati, picchiati e rilasciati dopo due settimane (A-3).
La ONG riferisce poi che nessuna indagine è partita in merito al massacro (A-2).
Di questo evento, quello che è rimasto alla comunità di Ikebiri è la perdita di otto suoi membri, il fermo arbitrario ed il pestaggio di due suoi capi, nonché il convincimento che in Nigeria l’occupazione di beni di proprietà di una multinazionale petrolifera è evidentemente un crimine molto più grave dell’eccidio di otto indigeni.
5/4/10
La conduttura petrolifera di proprietà della NAOC lungo la linea Tebidaba-10’ Clough Creek si è lesionata a circa 250 metri da un torrente, nella zona settentrionale dei territori della comunità Ikebiri. I conseguenti sversamenti hanno inquinato il fiume e gli stagni adiacenti, danneggiando sia la fauna ittica che la vegetazione e compromettendo in modo irreparabile le fonti di sostentamento della comunità.
In data 11/4/10 una commissione d’ispezione della NAOC, analizzando le cause dell’incidente, riconosceva che lo stesso era causato da “equipment failure” (B-1), assumendosi dunque la totale responsabilità di quanto accaduto. Nella zona, NAOC possiede diversi pozzi petroliferi, condutture e linee di flusso. L’intera area fu chiusa e, secondo quanto rilevato dai membri della comunità, fu dato fuoco ai terreni inquinati. Questa è stata l’unica attività di “bonifica” effettuata in seguito all’incidente di cui la comunità ha avuto conoscenza.
I leader della comunità contattarono prontamente la NAOC per chiedere la bonifica adeguata delle aree ed il risarcimento dei danni, ma la NAOC non vi ha provveduto.
18/3/15
La comunità di Ikebiri invia una lettera formale a NAOC ed ENI chiedendo la bonifica delle aree ed il risarcimento del danno (C-1). ENI non ha mai risposto.
8/5/15
La NAOC replica in data 8/5/15 rilevando di aver fatto la bonifica alla presenza di NOSDRA e del Ministero dell’Ambiente dello Stato di Bayelsa, tant’è che “the clean up exercise was certifices as successful”, e di non aver potuto corrispondere il risarcimento dei danni a causa di divisioni interne alla comunità (D-1).
Viene pianificato un incontro tra le parti, tenuto nel mese di agosto, in cui NAOC ribadisce di avere il certificato di avvenuta bonifica, che però si rifiuta di condividere.
Un altro punto di contrasto riguarda l’area impattata dallo sversamento, che secondo il perito incaricato dalla comunità nel 2013, Sig. H. I. Festus, è di 17,6 ettari (D-2). Secondo la NAOC, l’area inquinata è di 9 ettari (nel 2010).
A causa delle piogge e dei fluttui, il petrolio fuoriuscito in realtà è stato trasportato ad oltre 2 km. di distanza dal punto di sversamento, come sarà accertato successivamente, per cui l’area impattata è certamente più ampia.
23/9/16
La comunità conferisce incarico al laboratorio International Energy Services Limited di fare le analisi chimiche delle aree per verificare lo stato di contaminazione.
I dieci campioni di suolo raccolti presentano i seguenti valori (E-1):
– da 207 mg/kg a 193 mg/kg sui campioni prelevati nel cuore dell’area contaminata (individuata applicando le coordinate 5°55’00’’ Longitudine est – 4°39’36’’ Latitudine nord, indicate dai tecnici NAOC, fol. 5) ed a 50 mt. dallo stesso al livello superficiale di 13,17 cm sotto il suolo;
– da 128 mg/kg a 99. mg/kg sui campioni prelevati nei medesimi punti al livello più profondo di 57,63 cm sotto il suolo;
– da 126 mg/kg a 99.1 mg/kg sui campioni prelevati nell’area di controllo (situata 2 km. lontana dal punto sopra indicato) al livello superficiale di 13,17 cm sotto il suolo;
– da 103 mg/kg a 97.1 mg/kg sui campioni prelevati nell’area di controllo ma al livello più profondo di 57,63 cm sotto il suolo.
Come rilevato dal Dr. Beke nella relazione redatta a commento dei risultati delle analisi (E-2), se si tiene conto della naturale attenuazione della contaminazione dovuta al passaggio del tempo (sono trascorsi 6 anni a mezzo dalla data di sversamento), il sito presenta un livello di inquinamento alto, considerato che il limite massimo fissato dal Department of Petroleum Resources nelle sue linee guida per ritenere un sito propriamente bonificato dopo uno sversamento è quello di 50 mg/kg, il che significa che per ogni chilo di terreno non devono esserci più di 50 milligrammi di residui da idrocarburi.
Orbene, tale limite massimo viene superato non solo nell’area immediatamente limitrofa allo sversamento, ma anche ben 2 km. oltre.
4/5/17
La comunità di Ikebiri, tramite il suo re Ododo Francis, notifica ad ENI e NAOC l’atto di citazione (F-1), avviando il contenzioso davanti al Tribunale di Milano. Questo giudizio è il primo di questo tipo mai celebrato in Italia; è la prima volta che una comunità indigena è parte di un processo in Italia ed è la prima volta che una multinazionale italiana viene citata in giudizio in Italia per un danno ambientale provocato da una sua controllata all’estero.
La comunità ha chiesto al Giudice volersi:
1) accertare la responsabilità delle convenute in relazione allo sversamento di petrolio occorso nell’aprile 2010 nel territorio della comunità di Ikebiri;
2) accertare che nel suo territorio esiste un’area ancora inquinata a causa dello sversamento di cui sopra;
3) condannare le convenute a risarcire tutti i danni patiti dalla comunità, pari quanto meno alla somma di 689.198.400 Naira, o alla somma che dovesse essere ritenuta più esatta all’esito della istruttoria, oltre interessi e rivalutazione monetaria;
4) condannare le convenute ad eseguire la bonifica di tutta l’area inquinata riducendo i valori al di sotto della soglia prevista dalla legge nigeriana (50 mg/kg);
5) fissare un termine entro cui le convenute dovranno iniziare le operazioni di bonifica;
6) nominare una commissione di due esperti – uno sulla base delle indicazioni dell’attrice ed uno sulla base delle indicazioni delle convenute – che soprintenda alle operazioni di bonifica e ne attesti all’unanimità il buon esito attestando che i valori non risultino superiori ai parametri di legge, ponendo a carico delle convenute in solido od in ragione delle rispettive responsabilità il relativo onorario;
7) nell’ipotesi in cui le stesse non dovessero attivarsi per eseguire la bonifica nel termine indicato dal Tribunale o nell’ipotesi in cui all’esito della bonifica i valori non risultassero al di sotto di quelli di legge, condannarle al pagamento in favore della comunità di una somma di denaro sufficiente a far bonificare l’area da un’impresa specializzata;
8) condannare le convenute a rimborsare tutti i costi stragiudiziali sopportati dalla comunità o dalle associazioni ambientaliste per la preparazione del giudizio;
9) condannare le convenute in solido od in ragione delle rispettive responsabilità al pagamento delle spese di lite.
Secondo la comunità, la NAOC è direttamente responsabile per i danni e per la mancata bonifica, mentre la controllante ENI è responsabile per non aver ottemperato agli obblighi nascenti dal dovere di vigilanza.
dicembre 2017
ENI e NAOC depositano le loro difese nel giudizio, sollevando tante eccezioni e formulando varie richieste preliminari per evitare di entrare nel merito del giudizio.
In particolare, secondo loro il Giudice italiano non ha la giurisdizione, la comunità di Ikebiri non ha la legittimazione ad agire, la comunità non può essere rappresentata in giudizio dal suo re, i diritti della comunità sono prescritti, la comunità ha la responsabilità per non aver consentito a NAOC di pagare il risarcimento, la bonifica è stata regolarmente eseguita.
A tal fine, NAOC deposita il famoso certificato di avvenuta bonifica (G-1), che però ha la data del 15/12/15. Quindi, NAOC ha attestato il falso nella sua lettera del maggio 2015 e durante l’incontro dell’agosto 2015.
Il certificato di avvenuta bonifica è stato rilasciato cinque anni e mezzo dopo lo sversamento e solo dopo la lettera formale inviata dalla comunità con cui si contesta a NAOC la mancata bonifica.
9/1/18
Prima udienza davanti al Tribunale di Milano. Il Giudice non prende in considerazione le eccezioni di NAOC e ENI e rinvia la causa nel merito, concedendo alle parti la possibilità di integrare le loro difese ed i documenti.
La comunità di Ikebiri deposita tre memorie (H-1, H-2 ed H-3), mentre ENI e NAOC solo due.
Nel corso del giudizio, NAOC chiede alla comunità di transigere il giudizio.
23/10/18
La comunità e NAOC raggiungono un accordo segreto, che prevede il ritiro del giudizio. ENI è d’accordo.
21/5/19
Il Tribunale di Milano dichiara estinto il giudizio.